Quotidianità in litri d’acqua: quando i nostri gesti hanno un peso ambientale

Hai mai pensato che ogni volta che esci da un negozio d’abbigliamento con una nuova t-shirt di cotone hai consumato 2.700 litri d’acqua?
È un dato che ci deve far riflettere per iniziare ad agire con maggior consapevolezza nei piccoli gesti quotidiani, che mai assoceremmo ad un impatto ambientale negativo.
Abbigliamento, cibo, telefonia. Sono solo alcuni esempi che possiamo considerare, ma che sono particolarmente significativi perché ci riguardano da vicino.

Produzione del cotone: consumo d’acqua e inquinamento
Perché una maglietta di cotone, acquisto che interessa trasversalmente uomini e donne di ogni età, richiede un quantitativo d’acqua così alto? Il problema principale risiede proprio nella produzione del cotone e nella sua coltivazione tradizionale e intensiva; per massimizzarne la produzione, infatti, vengono impiegate sostanze entrofizzanti e inquinanti che vengono distribuite spesso per via aerea coprendo vaste zone, con conseguenze disastrose sul suolo che si impoverisce e perde fertilità. La diretta conseguenza è un maggiore consumo d’acqua. Uno studio condotto dall’Istituto Waterfootprint.org ha dimostrato che circa l’84% dell’impronta idrica del consumo di cotone nell’Unione Europea si trova al di fuori dell’Europa, nello specifico India e Uzbekistan. In altri termini, sono altri a pagare il prezzo del cotone che indossiamo.
La scelta più sostenibile è quella di utilizzare cotone riciclato; ma bisogna, anche in questo caso, ricordare che purtroppo non è tutto oro ciò che luccica: non solo il cotone rigenerato richiede comunque l’utilizzo di risorse idriche, ma soprattutto è bene ricordare che per ottenere la sigla GRS (Global Recycle Standard) è sufficiente che il cotone presente sia il 20% (Fonte: CCPB).

Smartphone e il prezzo ambientale dell’ultimo modello e l’esempio virtuoso di  Fairphone

Lo smartphone, compagno giornaliero sia in ambito lavorativo che ludico, è l’oggetto elettronico con il ricambio più frequente: la percentuale di persone che, ogni anno o poco più, acquistano il modello successivo a quello di cui sono in possesso è sorprendentemente alto. C’è chi lo fa per necessità lavorativa, ma per la maggior parte dei casi si tratta di un vizio, una scelta figlia del marketing di cui siamo tutti un po’ schiavi. Ebbene, per la produzione di un cellulare di ultima generazione vengono impiegate quasi 13 tonnellate d’acqua. Dati alla mano, un acquisto economicamente e ambientalmente così dispendioso dovrebbe essere limitato; per quanto tempo ancora dovremo assistere alle lunghe code fuori dagli store per la corsa all’ultimo modello prodotto dalle grandi aziende?
Una voce fuori dal coro merita però di essere citata, ed è Fairphone che commercializza smartphone sostenibili dando impulso all’economia circolare. Materiali riciclati, modulari e dal supporto software prolungato nel tempo, i modelli prodotti da Fairphone si distinguono per avere un ciclo vitale più lungo rispetto ai competitors presenti sul mercato. Questa è la dimostrazione che, se lo si vuole davvero, il cambiamento è nelle nostre mani, letteralmente, ogni giorno.

Allevamento e impronta idrica

Ma pensiamo anche all’alimentazione, punto cardine del tema della sostenibilità soprattutto se pensato in relazione alla carne. Una delle questioni più controverse riguardanti la produzione di carni e salumi è legata ai valori della loro impronta idrica. Gli animali da allevamento hanno bisogno di acqua per abbeverarsi, ma anche per la gestione delle stalle, la mungitura, la macellazione, la trasformazione dei cibi che da essi si ricavano e per la crescita dei foraggi di cui si nutrono. Parlando di consumo d’acqua, per la produzione di carne o di cibi di derivazione animale si considera la somma tra ‘acqua verde’, ovvero l’acqua piovana che evapora o traspira, nelle piante e nei terreni, soprattutto in riferimento alle aree coltivate; ‘acqua blu’, che rappresenta il volume di acqua dolce prelevato dalla superficie e dalle falde acquifere, utilizzato e non restituito, ovvero il prelievo di risorse idriche superficiali e sotterranee per scopi agricoli, domestici e industriali; ‘acqua grigia’, che indica la quantità di risorse idriche necessarie a diluire il volume di acqua inquinata per far sì che la qualità delle acque, nell’ambiente in cui l’inquinamento si è prodotto, rimanga al di sopra degli standard idrici prefissati. A differenza dell’acqua verde e blu, tuttavia, quella grigia rappresenta una misura ipotetica.


Applicando il metodo del Water Footprint Network, ad incidere negativamente sull’ambiente è soprattutto la carne bovina: per produrne 1 kg sono necessari circa 15.000 litri d’acqua, un dato enorme e preoccupante considerando la mancanza di risorse idriche, la siccità che oramai è sempre più frequente e la crisi climatica.

A onor del vero, quando si parla di acqua, carne e impronta idrica, bisogna fare un esame più puntuale.


Il dato indicato dall’impronta idrica rappresenta una stima a livello globale e non indica nello specifico la media dei litri utilizzati, nel nostro caso, in Italia; inoltre, è inesatto sommare semplicemente i tre tipi d’acqua come se avessero lo stesso impatto sulla disponibilità idrica, infatti per calcolare la water footprint bisogna sì sommare le tre tipologie d’acqua, ma successivamente dividere il totale per la resa. La quasi totalità dell’acqua utilizzata per produrre carne torna nel suo ciclo naturale: a livello complessivo, l’intero settore delle carni italiano (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che vengono restituite all’ambiente come l’acqua piovana; solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene quindi effettivamente consumata (Fonte: Mekonnen, M.M., Hoekstro, A.V. The Green, Blue and Grey Water Footprint of Farm Animals and Animal Products. Value of Water Research Report Series no.48, UNESCO-IHE, Delft, the Netherlands, 2010).
Partendo dal presupposto che la filiera della carne si debba basare sulle migliori condizioni agronomiche possibili con coltivazioni di foraggi e mangimi di alta qualità, per produrre 1 kg di carne bovina sono consumati effettivamente 790 litri d’acqua; quando queste premesse, purtroppo, non sono rispettate si raggiungono cifre poco al di sopra dei 5.000 litri. Un dato distante dai 15.000 litri iniziali, ma su cui è comunque necessario spendere una riflessione.


È infatti inutile nascondersi dietro un dito: l’origine del mangime, che varia da paese a paese a seconda delle condizioni climatiche e delle pratiche agricole adottate, è un fattore determinante nella produzione di carne. Ma ancora più importante è ricordare che oggettivamente la nostra dieta ha un impatto sul Pianeta e sul consumo delle risorse idriche.


Il cambiamento parte dalla consapevolezza


Al di là di possibili toni paternalistici, ognuno di noi dovrebbe agire consapevolmente; siamo chiamati a fare la nostra parte. E questo non significa che ognuno di noi, sapendo che un minor consumo di carne rossa e lattici provoca meno impatto sull’ambiente, debba diventare vegano. Si possono piuttosto fare delle scelte ecosostenibili in termini di quantità e qualità: consumare carne un paio di volte alla settimana – come consigliato per avere una dieta sana – e soprattutto proveniente da allevamenti non intensivi.
Mangiare carne in giusta quantità non comporterebbe un aumento significativo dell’impatto ambientale; probabilmente tanti di noi consumerebbero più litri d’acqua per una doccia (stima di 80 litri d’acqua per 4 minuti). E proprio parlando di consumo d’acqua, è bene ricordare che l’Italia si colloca al terzo posto nella classifica del consumo di acqua medio pro capite giornaliero, con un dato che si attesta a quasi 400 litri, preceduta solo da Stati Uniti e Australia (Fonte: UNPD, Human Development Report).


In conclusione, le parole chiave sono sempre le stesse: equilibrio e consapevolezza, oltre alla volontà di cambiare le nostre abitudini, da oggi.