Pratiche commerciali scorrette

Arriva la Direttiva contro il Greenwashing

I Green claims sono sempre più diffusi nelle strategie di marketing e nelle pratiche commerciali delle aziende. Tuttavia l’utilizzo non corretto di tali asserzioni ambientali rischia di sfociare nel greenwashing, con conseguente rischio di sanzioni da parte dell’AGCM per l’adozione di pratiche commerciali scorrette.

La Direttiva sulle asserzioni ambientali volontarie è una normativa europea che fornisce linee guida per le dichiarazioni ambientali fatte da imprese e organizzazioni. È finalizzata a garantire che le affermazioni riguardanti l’aspetto ambientale dei prodotti e dei servizi siano accurate, verificabili, non fuorvianti e pertinenti.

La Direttiva stabilisce criteri e requisiti per l’uso di dichiarazioni ambientali volontarie, al fine di proteggere i consumatori e promuovere pratiche commerciali sostenibili.

Sono sostanzialmente quattro gli obiettivi della proposta sui Green Claims:

  • rendere le dichiarazioni ecologiche affidabili, comparabili e verificabili in tutta l’UE;
  • proteggere i consumatori dal greenwashing;
  • contribuire a creare un’economia circolare e verde nell’UE consentendo ai consumatori di prendere decisioni di acquisto informate;
  • contribuire a stabilire parità di condizioni in merito agli impatti ambientali dei prodotti.

Per ottenere questi risultati, ci si muove lungo diverse direzioni al fine di vietare asserzioni, ma anche certificazioni, marchi ed etichette non verificabili. La Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori definisce infatti l’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali e associate al greenwashing:

  • esibire un marchio di sostenibilità che non sia basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
  • formulare un’asserzione ambientale generica (espressioni come ‘green’, ‘amico dell’ambiente’, ‘efficiente’ o ‘Bio’) per la quale il professionista non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
  • formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto;
  • presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta del professionista.

La Direttiva è uno strumento importante per promuovere la trasparenza e l’affidabilità delle informazioni ambientali fornite ai consumatori e per incoraggiare le imprese a adottare pratiche più sostenibili. Viene infatti sottolineato che per sistema di certificazione si intende un processo di verifica svolto da terze parti che, nel rispetto di condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, certifica che un dato prodotto è conforme a determinati requisiti. Saranno bandite, dunque, le etichette di sostenibilità ‘auto-certificate’ o che non rispondano a requisiti minimi di trasparenza e credibilità.

Il documento comunitario spiega che attualmente sul mercato dell’Unione sono utilizzate più di 200 etichette ambientali. Presentano importanti differenze nel modo in cui operano per quanto riguarda, ad esempio, la trasparenza e la completezza delle norme o dei metodi utilizzati, la frequenza delle revisioni o il livello di audit o verifica. Queste differenze hanno un impatto sull’affidabilità delle informazioni comunicate sulle etichette ambientali. In particolare, molte etichette mancano di procedure di verifica affidabili.

Il quadro descritto impone alle aziende di prestare attenzione, dunque, non solo nell’adottare pratiche di business veramente sostenibili, ma anche alla trasparenza e alla veridicità delle affermazioni commerciali veicolate, essenziali per promuovere una maggiore responsabilizzazione per le tematiche della transizione verde e della sostenibilità ambientale.